Il danno da super lavoro e le ricadute sulla salute: il lavoratore può richiedere un risarcimento al proprio datore?

Il danno da super lavoro può manifestarsi, a causa dall’eccessivo lavoro, in diverse forme come stress, affaticamento mentale e fisico, perdita di concentrazione, riduzione delle prestazioni lavorative, crisi di depressione e attacchi di panico. Tali sintomi possono influire negativamente sulla vita personale del lavoratore, il quale pertanto è legittimato a far valere i propri diritti nel caso in cui il cosiddetto “super lavoro” sia causato dal datore di lavoro, richiedendo un risarcimento danni e la rendita Inail.

Secondo il regolamento dell’Inail alcune malattie rientrano di diritto tra le malattie professionali.

Lo stress da super lavoro non è tra queste ma se il lavoratore è in grado di dimostrare la connessione tra il super lavoro e la sua condizione di salute, allora è possibile ottenere un risarcimento danni. Il lavoratore dovrà infatti dimostrare il cosiddetto “rapporto di causalità”, fornendo la prova che la prestazione lavorativa, svolta con modalità devianti, è stata la causa del pregiudizio alla salute da lui subito.

Al lavoratore basterà indicare la presenza nell’ambiente di lavoro di uno o più fattori di rischio per la sua salute. Denunciando lo svolgimento di prestazioni lavorative oltre la tollerabilità, si deduce infatti un inadempimento dell’obbligo di sicurezza ex articolo 2087 Codice Civile che non necessita di ulteriori specificazioni.

Come espresso dalla giurisprudenza di legittimità, “Il lavoratore a cui sia stato richiesto un lavoro eccedente la tollerabilità, per eccessiva durata o per eccessiva onerosità dei ritmi, lamenta un inesatto adempimento altrui, rispetto all’obbligo di sicurezza, cosicché egli è tenuto ad allegare rigorosamente tale inadempimento, evidenziando i relativi fattori di rischio” (Corte di Cassazione, ordinanza n. 34968 del 28.11.2022).

Onere probatorio

In tema di azione risarcitoria ex articolo 2087 del Codice Civile, per i danni causati da un’attività che ecceda la ragionevole tollerabilità, il lavoratore deve provare lo svolgimento della prestazione secondo modalità nocive e il nesso causale tra il lavoro svolto e il danno. Il datore di lavoro, per il suo dovere di assicurare che l’attività non sia pregiudizievole per l’integrità fisica e la personalità del dipendente, deve dimostrare che la prestazione si è svolta invece secondo la particolarità del lavoro, l’esperienza e la tecnica, con modalità normali, congrue e tollerabili.

La Cassazione, all’interno della stessa ordinanza sopracitata, afferma che l’azienda “deve dimostrare, di avere osservato le regole proprie che governano l’attribuzione dei compiti al dipendente”. Inoltre, il datore può contestare che il danno denunciato dal dipendente non sia ricollegabile all’attività lavorativa, ma ad una causa esterna all’ambiente di lavoro.

Condizioni

Secondo la Cassazione civile, in caso di danno alla salute derivante dallo svolgimento di prestazioni lavorative “oltre la tollerabilità”, il danno biologico va risarcito in presenza delle seguenti condizioni:

1) Sussistenza di un danno;

2) Comportamento scorretto o illegittimo di qualcuno;

3) Esistenza nesso causale tra il comportamento scorretto e il danno subito;

4) Si deve poter provare che il nesso causale tra comportamento e danno sia effettivo.

Il caso

Un impiegato del Ministero della Giustizia, colpito da infarto, ha chiesto il risarcimento del danno biologico da “superlavoro”, lamentando che le particolari condizioni di disorganizzazione e carenza di personale in cui aveva dovuto lavorare lo avevano costretto a ritmi frenetici, in violazione della normativa specifica in materia di salute e sicurezza sul lavoro e dell’art. 2087 c.c., che attribuisce al datore di lavoro l’obbligo di adottare le misure che, secondo la particolarità del lavoro, l’esperienza e la tecnica, sono necessarie a tutelare l’integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro. Sia in primo che in secondo grado la domanda del lavoratore è stata rigettata, ritenendo che il ricorrente avesse omesso di denunciare la violazione di “una specifica norma, nominata o innominata”.

Il lavoratore ha proposto ricorso per cassazione criticando la sentenza in quanto, avendo egli denunciato che l’evento dannoso era derivato dalla condotta datoriale ovvero dalla mancata applicazione delle cautele organizzative necessarie a preservare l’integrità dei lavoratori addetti all’ufficio, spettava al Ministero dimostrare l’avvenuta adozione di tutte le misure, nominate ed innominate, utili a tal fine, e sostenendo che, una volta dimostrata la sussistenza dell’inadempimento e del nesso causale tra inadempimento e danno, non occorreva dimostrare anche la colpa in concreto del datore di lavoro, spettando a quest’ultimo la prova della non imputabilità dell’inadempimento.

La Sezione Lavoro della Cassazione civile, con ordinanza n. 34968 del 28 novembre 2022, ha accolto il ricorso, affermando che: «[…] la Corte territoriale, asserendo che mancherebbe la prova delle violazioni che il ricorrente assume essere imputabili al Ministero, lo fa con affermazioni non del tutto univoche, ma che appaiono riconducibili, per un verso, alla mancata indicazione “di una specifica norma, nominata o innominata” a fondamento dell’inadempimento; si tratta tuttavia di affermazione errata, in quanto oltre a non potersi imporre al lavoratore di individuare la violazione di una specifica norma prevenzionistica […], ancor meno ciò può essere richiesto quando, adducendo la ricorrenza di prestazioni oltre la tollerabilità, è in sé dedotto un inesatto adempimento all’obbligo di sicurezza, indubbiamente onnicomprensivo e che non necessita di altre specificazioni, pur traducendosi poi esso anche in violazione di disposizioni antinfortunistiche (al tempo, D.Lgs. n. 626/194, art. 3 lett. f, poi trasfuso nel D.Lgs. n. 81 del 2008, art. 15, lett. e, in ordine al “rispetto dei principi ergonomici… nella definizione dei metodi di lavoro e produzione”; art. 4, comma 5, lett. c, poi art. 18, lett. c, D.Lgs. n. 81 del 2008, secondo cui “nell’affidare i compiti ai lavoratori tiene conto delle capacità e delle condizioni degli stessi in rapporto alla loro salute e alla sicurezza”); […] in tema di azione per risarcimento, ai sensi dell’art. 2087 c.c., per danni cagionati dalla richiesta o accettazione di un’attività lavorativa eccedente rispetto alla ragionevole tollerabilità, il lavoratore è tenuto ad allegare compiutamente lo svolgimento della prestazione secondo le predette modalità nocive ed a provare il nesso causale tra il lavoro così svolto e il danno, mentre spetta al datore di lavoro, stante il suo dovere di assicurare che l’attività di lavoro sia condotta senza che essa risulti in sé pregiudizievole per l’integrità fisica e la personalità morale del lavoratore, dimostrare che viceversa la prestazione si è svolta, secondo la particolarità del lavoro, l’esperienza e la tecnica, con modalità normali, congrue e tollerabili per l’integrità psicofisica e la personalità morale del prestatore […]»

Cassazione, ordinanza 33428 dell’11 novembre 2022

Rientra nell’obbligo datoriale di protezione previsto dall’articolo 2087 del Codice civile, in interazione con il diritto del lavoratore alle mansioni corrispondenti all’inquadramento (articolo 2103), la tutela contro le tecnopatie da costrittività organizzativa, potendosi configurare lo straining quando ci siano comportamenti stressogeni scientemente attuati nei confronti di un dipendente, o nel caso in cui il datore consenta, anche colposamente, il mantenersi di un ambiente stressogeno, fonte di danno alla salute.

Consiglio di Stato, sentenza 6370 del 20 luglio 2022

Il lavoratore che agisce per il risarcimento del danno in base all’articolo 2087 del Codice civile non può sottrarsi all’onere probatorio a suo carico, riportandosi alle conclusioni della commissione medica ospedaliera o del comitato di verifica in sede di accertamento della dipendenza dalla causa di servizio, ma deve provare l’esistenza di tale danno, la nocività dell’ambiente di lavoro, e il nesso tra l’uno e l’altro elemento. Il datore di lavoro deve invece provare di aver adottato tutte le cautele necessarie per impedire il verificarsi del danno.

Corte d’appello di Roma, sentenza 2875 del 30 giugno 2022

In tema di responsabilità del datore di lavoro per violazione dell’articolo 2087 del Codice civile, la parte che subisce l’inadempimento ha l’onere di dimostrare, oltre che l’esistenza del fatto materiale, anche le regole di condotta che assume essere state violate, provando che il datore ha messo in atto un comportamento contrario alle clausole contrattuali che disciplinano il rapporto o a norme inderogabili di legge o alle regole generali di correttezza e buona fede o alle misure che devono essere adottate per tutelare l’integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro.

Corte d’appello di Milano, sentenza 555 del 7 giugno 2022

Il mero fatto di lesioni riportate dal dipendente in occasione dello svolgimento dell’attività lavorativa non determina di per sé l’addebito delle conseguenze dannose al datore di lavoro, occorrendo la prova, tra l’altro, della nocività dell’ambiente di lavoro. Va comunque osservato che il datore di lavoro è responsabile dell’infortunio occorso al lavoratore, sia se omette di adottare le idonee misure protettive, sia se non accerta e vigila che di queste misure il dipendente faccia effettivamente uso.

Cassazione civile, sezione lavoro, ordinanza 35177 del 18 novembre 2021

La prova della responsabilità datoriale, in base all’articolo 2087 del Codice civile, richiede l’allegazione da parte del lavoratore, che agisce deducendo l’inadempimento, sia degli indici della nocività dell’ambiente lavorativo al quale è esposto – da individuare nei concreti fattori di rischio, circostanziati in ragione delle modalità della prestazione lavorativa – sia del nesso eziologico tra la violazione degli obblighi di prevenzione da parte del datore e i danni subiti.

Articolo a firma pubblicato su:

https://ntplusdiritto.ilsole24ore.com/art/stress-superlavoro-e-risarcimento-danno-si-alleggerisce-onere-probatorio-capo-lavoratore-AE1Sn6CD

https://www.lamiafinanza.it/2023/04/danno-da-super-lavoro-e-le-ricadute-sulla-salute-il-lavoratore-puo-chiedere-un-risarcimento/

https://www.giornaledellepmi.it/danno-da-superlavoro-e-ricadute-sulla-salute-il-lavoratore-puo-chiedere-un-risarcimento/

 

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